A chi mi vede sembrerà
che io sia immobile qui senza far nulla, gli occhi fissi, sbarrati
come uno zombie. Ma se vi prendete la
briga di seguire il mio sguardo scoprirete che là sopra, quel
rettangolo di vetro sopra la porta, è composto da uno strano mosaico
di figure spezzate. Le osservo da tempo, unendole a due a due o a tre
a tre e cerco di formarne una senza angoli concavi. L’altro giorno
c’ero quasi riuscito, credo, ma poi ho perso il conto dei poligoni;
e comunque era troppo grande, non valeva. Chi ha inventato questa
vetrata voleva farmi impazzire. Alla fine non sono certo sia
possibile riuscirci: dev’essere stato un genio del male chi s’è
inventato questa fantasia. Ma probabilmente è tutto
casuale, e sto qui ad ammattire inutilmente. Un po’ come la vita:
se c’è un Dio che se l’è inventata così dev’essere un
sadico. Ma quel che non si può accettare è che invece Dio non ci sia e
che queste figure che non combaciano mai siano soltanto un caso.
A dirla tutta, alla fine sono tutte dentro a una grande cornice perfetta e rettangolare, e questo suppongo abbia un significato da far felice un prete. Ma non vale uscire dallo spazio delimitato. Come aprire la scatola di Schrödinger per vedere se il gatto è vivo o è morto; no, il gioco funziona fino a che non sai se le radiazioni l’hanno ammazzato o no, solo così il gatto è contemporaneamente in due dimensioni quantistiche ed è contemporaneamente vivo e morto.
E adesso ho capito perché me ne sto chiuso qui il pomeriggio anziché scendere in spiaggia come tutti quei ragazzini entusiasti.
A dirla tutta, alla fine sono tutte dentro a una grande cornice perfetta e rettangolare, e questo suppongo abbia un significato da far felice un prete. Ma non vale uscire dallo spazio delimitato. Come aprire la scatola di Schrödinger per vedere se il gatto è vivo o è morto; no, il gioco funziona fino a che non sai se le radiazioni l’hanno ammazzato o no, solo così il gatto è contemporaneamente in due dimensioni quantistiche ed è contemporaneamente vivo e morto.
E adesso ho capito perché me ne sto chiuso qui il pomeriggio anziché scendere in spiaggia come tutti quei ragazzini entusiasti.
Penserete che io sia
uno di quei piccoli geni. Niente di più sbagliato. Lo pensano pure
Rocco e Vito, lo pensano tutti anche se vado male in tutte le materie
e la mia pagella è una schedina. So programmare in basic, in un paio
d’ore posso farvi un listato per far apparire una parolaccia
diversa a ognuno dei miei compagni di scuola, ma questo non fa di me
un genio. Fra qualche anno avere un commodore in casa e scrivere
programmi in basic sarà ovvio come rispondere al citofono. E
teoricamente quel programma lì non è molto più utile che unire
queste figure sul vetro e far mangiare cassette a questa radiolina.
Perché non sono del tutto immobile e in silenzio, sto ascoltando i
R.E.M.. Tra poco tocca ai Cure di “Disintegration” o a quell’altro
che ho comprato l’altro giorno, “Seventeen Seconds”. Uno dei
primi, di quasi dieci anni fa, dovevano avere poco più della mia età
quando l’hanno inciso, e questo torna ad acuire il mio senso di
immobilità rispetto all’universo. Il mio compagno Cola Sciarinu,
quello ripetente, dice, “Geografia astronomica: l’universo è
tutto un giramento di palle!”, e sbotta a ridere da solo,
sgangherato, con quel dente che gli manca. Somiglia a Mino Reitano,
ma si mette i Levi’s e si fa i capelli con la Nivea, e alle ragazze
piace. Prima di “A forest” c’è un punto in cui sembra che si
stia mangiando il nastro, la prima volta che l’ho sentito ho tolto
la cassetta spaventatissimo. Pazzi.
Un’altra cosa che sto
facendo, sdraiato su questo letto a costruire poligoni teorici e ad
ascoltare musica, è pensare in inglese. Ultimamente penso in inglese
tutte le cose più segrete, quelle che non potrei rivelare a nessuno.
Sfoglio il dizionarietto e costruisco frasi, “What must I do to see
you again, M.?” (questa non la penso come la vedete scritta, è una
specie di lamento, o un sospiro se preferite); “I like The Smiths and R.E.M., what music do
you like?” (questa è per la ragazza americana che ho visto l’altro
giorno... ho detto al mio fratellino che gli abbuono le famose
millecinquecento lire della sala giochi se me la presenta); “Your
eyes are very beautiful”. In inglese penso tutte quelle cose che
non dirò a nessuno, non solo perché sono troppo timido, ma non ho
una ragazza cui dirle, a parte M. che chissà dov’è, ma so che
sente tutto quel che le dico.
Lo so cosa pensate. Non dovrei essere fatto così. Anch’io non lo vorrei. Farei qualunque cosa per non essere così, e la mia domanda ricorrente è come andare dall’A di oggi alla B di Cola Sciarinu senza diventare come lui. Dev’esserci un senso in tutte queste cose, e un motivo per cui tutte le “R” di “Green” se le guardi in controluce sono dei numeri 4. Nella mia rivista dice che Michael Stipe beve un intruglio strano di erbe e ha una casa cinematografica che si chiama C-00.
Lo so cosa pensate. Non dovrei essere fatto così. Anch’io non lo vorrei. Farei qualunque cosa per non essere così, e la mia domanda ricorrente è come andare dall’A di oggi alla B di Cola Sciarinu senza diventare come lui. Dev’esserci un senso in tutte queste cose, e un motivo per cui tutte le “R” di “Green” se le guardi in controluce sono dei numeri 4. Nella mia rivista dice che Michael Stipe beve un intruglio strano di erbe e ha una casa cinematografica che si chiama C-00.
Qui nel bagno della
casa di quest’anno ci sono le veneziane, e mettendole nella
posizione giusta potrei guardare il palazzo di fronte e farmi un
raspone. Di nascosto, guardando una ragazza vera! E magari qualche
volta la beccherò a spogliarsi, come in quei film del sabato notte
su Tele D. Ok, la figlia dei vicini non è esattamente la Fenech,
anzi, direi proprio il contrario, ma è bello osservarla non visto
e pensare che se volessi... e se mi scoprisse, e decidesse di
spogliarsi apposta? A dire la verità è solo un gioco, perché io
penso solo a M. e, a parte lei, all'americana, ma solo perché M. è
morta. Probabilmente per il dolore della mia lontananza. O in qualche
modo è ancora viva ma il suo spirito si è spostato nell'americana.
L’angelo scappa da un corpo all’altro, ora lo so, e devo scoprire
dove sia finito prima che fugga di nuovo, e fermarlo una volta per
tutte. Immagino che stare chiuso in casa tutto il giorno non sia una
strategia molto furba, ma un giorno ci troveremo, e saremo felici per
sempre. Faremo tutto insieme, faremo l’amore, leggeremo insieme,
ascolteremo insieme la musica, parleremo dei testi dei R.E.M.,
berremo birra e rideremo un sacco. A volte provo a immaginare quale
sia la posizione giusta per stare seduti a limonare con una ragazza
sul muretto. Mi piace pensare di tenere gli inguini attaccati, e
questo suppongo voglia dire che dovrei tenere le gambe larghe io,
oppure lei. A volte mi dico non c’incontreremo mai e dovrò
accontentarmi di stare con una e mettere su una fabbrica di figli
infelici da mantenere e mandare al catechismo fino all’età in cui
non decidono di rinchiudersi immusoniti a guardare da dietro le
veneziane nella casa del mare.
Preferirei morire
adesso.
La figlia della vicina
ha un’amica bellissima e magra, capelli ondulati, arriva con la
vespa blu metallizzata. Il blu fa risaltare le sue gambe abbronzate.
Può anche darsi che il mio angelo in realtà si sia materializzato
in lei. Dovrei scoprirlo.
E il punto è questo.
Io so dove mi trovo. Su questo letto, o in bagno dietro la persiana,
specialmente quando sento il rumore della vespa azzurra. Vedo i
bambini là in fondo che vanno e vengono, vedo la figlia della
vicina, vedo la sua amica bionda. Le sento parlare, ridere, a volte
ho l’impressione che guardino verso quassù e ridano di me, come
ridono i bambini che adesso giocano più in là gridando e schizzando
l’acqua. Vedo le ragazze in costume e le coppie che si fingono
felici e le comitive imbecilli che parlano di cazzate e di vestiti.
Il punto vero è che vedo il mondo, è vicinissimo, e non so
arrivarci. Forse dovrei diventare come uno di quei tizi muscolosi
abbronzati che ascoltano la house in macchina. Adattarmi e basta. O
fare un passo alla volta, del tipo stabilire che da domani in poi
dovrò guardare tutti fisso negli occhi quando gli parlo. E dormire
sulla schiena, camminare con i palmi rivolti in avanti, come dice
Rocco, impostarmi la voce, guardarmi di più allo specchio, e
iniziare a rispondere male a tutti quelli che mi guardano strano. O
fare una pazzia d’improvviso, tipo affacciarmi dalla finestra del
bagno col pisello in mano e gridare alle ragazze, “Yuuhuu!! Questo
è per voi!” Il solo pensiero mi fa scompisciare dal ridere. Magari
è troppo piccolo e riderebbero loro. O darmi una scadenza, una data
dopo la quale diventare come tutti. Ma se sto così tanto a pensarci,
la mia freccia dovrà sfondare l’infinito per andare da A a B.
Non dovrei essere così.
La sera, appena gli
altri dormono, salgo le scale fino al grande terrazzo ricoperto di
pece nera. Con soli tre piani, è il palazzo più alto di tutti, se
mi metto seduto nessuno può vedermi. Tutto è silenzioso, il cielo è
nero e punteggiato di stelle. Posso unirle a tre a tre formando dei
triangoli perfetti.
Appena su, recupero il
pacchetto di sigarette tra le scatole accatastate di mattonelle e me
ne accendo una. Vedo due gatti maschi che si azzuffano e la femmina
che li osserva da lontano. Sono davvero violenti. Lo sconfitto alla
fine scappa via tutto acciaccato, e il vincitore va dalla gatta, che
però lo scaccia. Bastarda! O forse preferiva l’altro, mi dico. Una
gatta dall’animo nobile che preferisce i perdenti. Lui si mette
lì e fa tutto l’offeso. Ma lei ritorna da lui come per scusarsi o
per consolarlo. E allora lui le salta di nuovo addosso e lei lo
scaccia di nuovo. Fanno davvero così, diverse volte, lei sempre meno
aggressiva, e alla fine si accoppiano con mille gemiti di piacere che
sembrano i vagiti dei neonati. È bellissimo.
Davanti a me, più in
basso su questo lato del palazzo, c’è la casa dell'americana. Un
giorno si affaccerà per caso e mi vedrà, e parleremo in inglese per
tutta la notte, di musica e delle cose che sogna di fare. Devo
preparare una passerella, una scala, per farla venire quassù. Vedrò
il suo viso morbido illuminato di azzurro, i suoi occhi grandi nella
notte e la sua frangetta bionda, i suoi seni tondi, tutto sarà blu
dei riflessi della luna. Sono certo che una sera si affaccerà, lei
lo sa che sono qui.
Certe sere mi metto
disteso sulla pece nera, ancora calda, e guardo le
stelle lucenti. Nessuno sa che sono qui. Ho piantato il seme, adesso
quei triangoli si formeranno senza il mio aiuto, e circonderanno il
mondo congelandolo nel loro dolore cristallino.
Mi sbottono la patta e
mi carezzo piano guardandole lassù ed è come fare l’amore con
l’universo.
Non dovrei essere così,
ma va bene... va bene.
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