sabato 4 agosto 2018

Sweet Summer Sour [The wrong child]




A chi mi vede sembrerà che io sia immobile qui senza far nulla, gli occhi fissi, sbarrati come uno zombie. Ma se vi prendete la briga di seguire il mio sguardo scoprirete che là sopra, quel rettangolo di vetro sopra la porta, è composto da uno strano mosaico di figure spezzate. Le osservo da tempo, unendole a due a due o a tre a tre e cerco di formarne una senza angoli concavi. L’altro giorno c’ero quasi riuscito, credo, ma poi ho perso il conto dei poligoni; e comunque era troppo grande, non valeva. Chi ha inventato questa vetrata voleva farmi impazzire. Alla fine non sono certo sia possibile riuscirci: dev’essere stato un genio del male chi s’è inventato questa fantasia. Ma probabilmente è tutto casuale, e sto qui ad ammattire inutilmente. Un po’ come la vita: se c’è un Dio che se l’è inventata così dev’essere un sadico. Ma quel che non si può accettare è che invece Dio non ci sia e che queste figure che non combaciano mai siano soltanto un caso.
A dirla tutta, alla fine sono tutte dentro a una grande cornice perfetta e rettangolare, e questo suppongo abbia un significato da far felice un prete. Ma non vale uscire dallo spazio delimitato. Come aprire la scatola di Schrödinger per vedere se il gatto è vivo o è morto; no, il gioco funziona fino a che non sai se le radiazioni l’hanno ammazzato o no, solo così il gatto è contemporaneamente in due dimensioni quantistiche ed è contemporaneamente vivo e morto.
E adesso ho capito perché me ne sto chiuso qui il pomeriggio anziché scendere in spiaggia come tutti quei ragazzini entusiasti.
Penserete che io sia uno di quei piccoli geni. Niente di più sbagliato. Lo pensano pure Rocco e Vito, lo pensano tutti anche se vado male in tutte le materie e la mia pagella è una schedina. So programmare in basic, in un paio d’ore posso farvi un listato per far apparire una parolaccia diversa a ognuno dei miei compagni di scuola, ma questo non fa di me un genio. Fra qualche anno avere un commodore in casa e scrivere programmi in basic sarà ovvio come rispondere al citofono. E teoricamente quel programma lì non è molto più utile che unire queste figure sul vetro e far mangiare cassette a questa radiolina. Perché non sono del tutto immobile e in silenzio, sto ascoltando i R.E.M.. Tra poco tocca ai Cure di “Disintegration” o a quell’altro che ho comprato l’altro giorno, “Seventeen Seconds”. Uno dei primi, di quasi dieci anni fa, dovevano avere poco più della mia età quando l’hanno inciso, e questo torna ad acuire il mio senso di immobilità rispetto all’universo. Il mio compagno Cola Sciarinu, quello ripetente, dice, “Geografia astronomica: l’universo è tutto un giramento di palle!”, e sbotta a ridere da solo, sgangherato, con quel dente che gli manca. Somiglia a Mino Reitano, ma si mette i Levi’s e si fa i capelli con la Nivea, e alle ragazze piace. Prima di “A forest” c’è un punto in cui sembra che si stia mangiando il nastro, la prima volta che l’ho sentito ho tolto la cassetta spaventatissimo. Pazzi.
Un’altra cosa che sto facendo, sdraiato su questo letto a costruire poligoni teorici e ad ascoltare musica, è pensare in inglese. Ultimamente penso in inglese tutte le cose più segrete, quelle che non potrei rivelare a nessuno. Sfoglio il dizionarietto e costruisco frasi, “What must I do to see you again, M.?” (questa non la penso come la vedete scritta, è una specie di lamento, o un sospiro se preferite); “I like The Smiths and R.E.M., what music do you like?” (questa è per la ragazza americana che ho visto l’altro giorno... ho detto al mio fratellino che gli abbuono le famose millecinquecento lire della sala giochi se me la presenta); “Your eyes are very beautiful”. In inglese penso tutte quelle cose che non dirò a nessuno, non solo perché sono troppo timido, ma non ho una ragazza cui dirle, a parte M. che chissà dov’è, ma so che sente tutto quel che le dico.
Lo so cosa pensate. Non dovrei essere fatto così. Anch’io non lo vorrei. Farei qualunque cosa per non essere così, e la mia domanda ricorrente è come andare dall’A di oggi alla B di Cola Sciarinu senza diventare come lui. Dev’esserci un senso in tutte queste cose, e un motivo per cui tutte le “R” di “Green” se le guardi in controluce sono dei numeri 4. Nella mia rivista dice che Michael Stipe beve un intruglio strano di erbe e ha una casa cinematografica che si chiama C-00.
Qui nel bagno della casa di quest’anno ci sono le veneziane, e mettendole nella posizione giusta potrei guardare il palazzo di fronte e farmi un raspone. Di nascosto, guardando una ragazza vera! E magari qualche volta la beccherò a spogliarsi, come in quei film del sabato notte su Tele D. Ok, la figlia dei vicini non è esattamente la Fenech, anzi, direi proprio il contrario, ma è bello osservarla non visto e pensare che se volessi... e se mi scoprisse, e decidesse di spogliarsi apposta? A dire la verità è solo un gioco, perché io penso solo a M. e, a parte lei, all'americana, ma solo perché M. è morta. Probabilmente per il dolore della mia lontananza. O in qualche modo è ancora viva ma il suo spirito si è spostato nell'americana. L’angelo scappa da un corpo all’altro, ora lo so, e devo scoprire dove sia finito prima che fugga di nuovo, e fermarlo una volta per tutte. Immagino che stare chiuso in casa tutto il giorno non sia una strategia molto furba, ma un giorno ci troveremo, e saremo felici per sempre. Faremo tutto insieme, faremo l’amore, leggeremo insieme, ascolteremo insieme la musica, parleremo dei testi dei R.E.M., berremo birra e rideremo un sacco. A volte provo a immaginare quale sia la posizione giusta per stare seduti a limonare con una ragazza sul muretto. Mi piace pensare di tenere gli inguini attaccati, e questo suppongo voglia dire che dovrei tenere le gambe larghe io, oppure lei. A volte mi dico non c’incontreremo mai e dovrò accontentarmi di stare con una e mettere su una fabbrica di figli infelici da mantenere e mandare al catechismo fino all’età in cui non decidono di rinchiudersi immusoniti a guardare da dietro le veneziane nella casa del mare.
Preferirei morire adesso.
La figlia della vicina ha un’amica bellissima e magra, capelli ondulati, arriva con la vespa blu metallizzata. Il blu fa risaltare le sue gambe abbronzate. Può anche darsi che il mio angelo in realtà si sia materializzato in lei. Dovrei scoprirlo.
E il punto è questo. Io so dove mi trovo. Su questo letto, o in bagno dietro la persiana, specialmente quando sento il rumore della vespa azzurra. Vedo i bambini là in fondo che vanno e vengono, vedo la figlia della vicina, vedo la sua amica bionda. Le sento parlare, ridere, a volte ho l’impressione che guardino verso quassù e ridano di me, come ridono i bambini che adesso giocano più in là gridando e schizzando l’acqua. Vedo le ragazze in costume e le coppie che si fingono felici e le comitive imbecilli che parlano di cazzate e di vestiti. Il punto vero è che vedo il mondo, è vicinissimo, e non so arrivarci. Forse dovrei diventare come uno di quei tizi muscolosi abbronzati che ascoltano la house in macchina. Adattarmi e basta. O fare un passo alla volta, del tipo stabilire che da domani in poi dovrò guardare tutti fisso negli occhi quando gli parlo. E dormire sulla schiena, camminare con i palmi rivolti in avanti, come dice Rocco, impostarmi la voce, guardarmi di più allo specchio, e iniziare a rispondere male a tutti quelli che mi guardano strano. O fare una pazzia d’improvviso, tipo affacciarmi dalla finestra del bagno col pisello in mano e gridare alle ragazze, “Yuuhuu!! Questo è per voi!” Il solo pensiero mi fa scompisciare dal ridere. Magari è troppo piccolo e riderebbero loro. O darmi una scadenza, una data dopo la quale diventare come tutti. Ma se sto così tanto a pensarci, la mia freccia dovrà sfondare l’infinito per andare da A a B.
Non dovrei essere così.
La sera, appena gli altri dormono, salgo le scale fino al grande terrazzo ricoperto di pece nera. Con soli tre piani, è il palazzo più alto di tutti, se mi metto seduto nessuno può vedermi. Tutto è silenzioso, il cielo è nero e punteggiato di stelle. Posso unirle a tre a tre formando dei triangoli perfetti.
Appena su, recupero il pacchetto di sigarette tra le scatole accatastate di mattonelle e me ne accendo una. Vedo due gatti maschi che si azzuffano e la femmina che li osserva da lontano. Sono davvero violenti. Lo sconfitto alla fine scappa via tutto acciaccato, e il vincitore va dalla gatta, che però lo scaccia. Bastarda! O forse preferiva l’altro, mi dico. Una gatta dall’animo nobile che preferisce i perdenti. Lui si mette lì e fa tutto l’offeso. Ma lei ritorna da lui come per scusarsi o per consolarlo. E allora lui le salta di nuovo addosso e lei lo scaccia di nuovo. Fanno davvero così, diverse volte, lei sempre meno aggressiva, e alla fine si accoppiano con mille gemiti di piacere che sembrano i vagiti dei neonati. È bellissimo.
Davanti a me, più in basso su questo lato del palazzo, c’è la casa dell'americana. Un giorno si affaccerà per caso e mi vedrà, e parleremo in inglese per tutta la notte, di musica e delle cose che sogna di fare. Devo preparare una passerella, una scala, per farla venire quassù. Vedrò il suo viso morbido illuminato di azzurro, i suoi occhi grandi nella notte e la sua frangetta bionda, i suoi seni tondi, tutto sarà blu dei riflessi della luna. Sono certo che una sera si affaccerà, lei lo sa che sono qui.
Certe sere mi metto disteso sulla pece nera, ancora calda, e guardo le stelle lucenti. Nessuno sa che sono qui. Ho piantato il seme, adesso quei triangoli si formeranno senza il mio aiuto, e circonderanno il mondo congelandolo nel loro dolore cristallino.
Mi sbottono la patta e mi carezzo piano guardandole lassù ed è come fare l’amore con l’universo.
Non dovrei essere così, ma va bene... va bene.

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