sabato 21 febbraio 2015

Happiness in slavery

Se c'è una cosa che odio è vedere affari privati, piagnistei, sfoghi e questioni personali della gente su blog e social network.
Infatti questo è un post politico.
C'è stato un tempo in cui mi trattavo letteralmente come uno schiavo. Non mi concedevo alcuno svago se non ritenevo di star lavorando abbastanza. Ora, siccome sono del tutto incapace di autodisciplina e allo stesso tempo spietatissimo con me stesso, questo significava ricominciare a vivere davvero solo nella breve intercapedine di tempo fra un lavoro e l'altro. E stavo iniziando a detestare questa bellissima professione.
Da qualche tempo (non molto tempo, in verità) ho stabilito una cadenza precisa lavoro-gratificazioni. Ogni tot pagine, un piccolo premio. Anche se sento che ci sono dentro e che potrei tirare ancora, giunto all'obiettivo prestabilito mi fermo e faccio qualcosa che mi piace. Questa cosa sta incredibilmente migliorando la mia produttività e anche la qualità del mio lavoro, e adesso mi voglio molto più bene.
Ma questo non è un post personale, è un post politico.
C'è ancora chi crede che spremere i lavoratori come limoni e togliere loro tutto sia una cosa molto furba. E a pensarlo,  adesso, è gente dinamica e rampante che si professa di sinistra. Come i maiali della "Fattoria degli animali" di Orwell, nottetempo gli ex rivoluzionari hanno modificato la scritta "tutti sono uguali" con "tutti sono uguali tranne".
La vessazione dei lavoratori è un ottuso autogol, perché l'eccellenza italiana non può inseguire queste logiche. Siamo sempre stati noi quelli che venivamo imitati dagli altri, e non riuscivano a farlo perché dietro la nostra altissima qualità c'era una mentalità solidale, e una maniera contadina, meticolosa di fare le cose. Rincorrere i cinesi che provano invano a imitarci è una spirale suicida. La nostra vera vocazione è la qualità, è la qualità non si persegue disumanizzando il lavoro.
Proseguiamo la nostra camminata serena ed entusiastica verso il disastro.


(Soundtrack)

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