lunedì 13 agosto 2012

L'artista

Fuori dal palazzo comunale del paese di Z. vedo un cartellone colorato.
Sulla foto (una tavolozza con dei cumuletti di colori e un pennello che si tuffa allegro e vorace nel pastoso ben di dio) svolazza in caratteri eleganti il nome dell'artista.
Vabbé. Praticamente una stock photo scaricata da internet e dei font truetype.

Incuriosito salgo le scale del municipio imbiancato a nuovo, mi fermo a guardare le vecchie foto in bianco e nero appese, facce antiche di maestre e bambini dai lineamenti durissimi. Non avevo mai visto dei bambini così brutti in vita mia. Mi vergogno di questo pensiero e distolgo lo sguardo.

Quello che mi si para davanti, entrando nella sala consiliare, è una specie di percorso, tracciato per terra da serpentoni di rete e grosse palle di vimini colorate.
I quadri sono poggiati per terra, ritti e senza cornice. Mi chiedo il perché della musicaccia da camera che sento in sottofondo.

Per distrazione non seguo il percorso, guardo le tele come capita.
E, ahimé, sono di una bruttezza disperata e inqualificabile, senza appello.
Telacce enormi riempite di righe incrociate e fantasie di fiori o spirali o scarabocchi, bianco e rosso su giallo, verde su azzurro. E in mezzo a tutto questo girone infernale di porcate insensate, completamente incongruente col resto spicca una facciona scura e olivastra con un broncio da schiaffi, guance pendule da bulldog, capelli a mezzacoda neri e sguardo cattivo che ti osserva come se volesse dirti

"Sei una merda. Ti odio, sei una merda. Non capisco cosa stai dicendo, ma sei una merda, ti odio."

Non riesco a capire perché si debba dipingere, e poi pure esporre, una cosa così brutta e ottusa, dipinta senza tecnica né passione né arte né idee né motivo. E neppure così orribile da eccellere nell'orrore, né così insulsa da poter rappresentare una voluta rappresentazione del grado di ispirazione zero.

Proseguendo rapido lo slalom fra altri incubi da tappezziere sotto LSD dell'Eurospin, vedo un altro volto, quest'altro seminascosto in fondo e parzialmente girato verso il muro (come se l'autrice fosse indecisa se mostrarlo o meno) di un tizio con i baffi a manubrio, un pastrocchio di colori assolutamente indecente, come e più di tutto il resto.

Ci metto trenta secondi, forse meno, a capire che la sensazione di soffocamento che ho iniziato ad avvertire dev'essere legata a tutta questa bruttezza.

Esco fuori a larghi passi, senza neanche il ritegno di far finta che mi scappi la pipì, in cerca di una finestra, e a quanto pare dovevo veramente prendere aria.
Non mi era mai successo di stare male perché avevo visto qualcosa che non mi piaceva. Al massimo con i neon al supermercato. Sarà stato il miscuglio di pretenziosità e di imbecillità, il vuoto pneumatico di senso e significato. Mi vergogno quasi di questa ipersensibilità che mi fa dubitare di essere diventato un pizzico snob. Ma davvero trovo sollievo a respirare dell'aria fresca alla finestra.

Ma non eravamo tutti liberi di creare quel che vogliamo?
Il mio cervello vorrebbe pensarla così, e lo stomaco però pare essere di parere completamente opposto e non sono del tutto certo che con l'arte il primo abbia sempre diritto a maggior dignità rispetto al secondo.

Esco dal municipio, perplesso.
Massì, dovremmo tutti coltivare degli spazi per creare, mi dico. Creare fa bene.
Il punto è dovremmo coltivare anche lo spirito critico, e autocritico soprattutto, e capire che uno scarabocchio non è un'opera d'arte, e che uno che disegna non necessariamente è un artista. E che non tutto va sputtanato al mondo.

Forse è questa parola, questo status di 'artista' che piace tanto.
Come quando dico che traduco romanzi e tutti mi dicono 'che invidia'.
Nessuno pensa che è un lavoro pesante e sottopagato e che ti ruba notti di sonno e che ti allontana dalla gente. Che uno lo fa perché proprio ne ha bisogno, perché, mannaggia, è la sua dannata vocazione, perché sa fare quello e deve pure guadagnarsi la pagnotta.
Ma, in Sicilia soprattutto, questa cosa dello status di intellettuale, di artista, piace a tutti.

Anche a quelli che, ahinoi, non sanno fare un cazzo e che pensano basti prendere un pennello e una tela e spiaccicarci sopra del colore.
E nessuno che gli dica: vergognati, fa veramente schifo tutto quel che fai.

Io vorrei che qualcuno avesse questa mancanza di ritegno con me. "Mi spiace, questa tua traduzione è piatta e banale", "Mi spiace, ma la tua band non mi piace per niente e canti come una capra", "Mi spiace, sei proprio un cesso di persona e mi annoia a morte sentirti parlare."
Se pensate queste cose di me, vi prego, ditemele. Magari con un "secondo me", magari con un sorriso, un allegro vaffanculo, una pacca sulla schiena, a seconda del vostro stile; ma ditemele.
Se devo stilare l'elenco delle dieci persone alle quali sono più legato e grato in vita mia, sono tutte persone che hanno saputo distogliermi da qualcosa o prendermi in giro per qualcos'altro. Persone sincere e sensate. Sono le persone così a volerci bene e a fare del bene al mondo.
Poi sta a noi decidere se ascoltarle o tirar dritto, ma guai se non ci fosse questo specchio davanti alla nostra faccia.
Saremmo mostruosi immutabili coacervi di boria e presunzione, infallibili, statue adolescenti dorate perennemente in posa, tossici sempre a rota di lusinghe e piaggeria.

Non procuriamoci a vicenda agonie dolorose e interminabili di preteinziosità, di bruttezza, e d'incapacità. Impariamo di nuovo l'arte della franchezza, della spietatezza, o saremo sempre più vittime di pittori che violentano la bellezza, poeti che uccidono la poesia, musicisti che si beano di torturare inutilmente le orecchie e il buon gusto, scrittori inutili e pretenziosi che sfoderano ogni due righe neologismi azzardati ma non sanno inventarsi e raccontare una bella storia. E occasionalmente quei criminali saremo proprio noi stessi.

Facciamolo per il bene soprattutto di quei pochi, rari, preziosi artigiani che studiano e s'impegnano e lavorano instancabilmente, con impegno, devozione, bozze e stesure e correzioni e ripensamenti, per donarci queste cose, e che queste cose le sanno fare davvero.


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