venerdì 15 dicembre 2017

How to disappear completely

Scarlett Johansson non è alta, non è magrolina, non è la rappresentazione dei canoni estetici correnti. Nelle interviste non parla di matrimonio, figli, rapporti stabili. Per certi versi è la negazione della star all'americana. 
La trovo bellissima nella sua veste meno perfetta e leccatina, in "A love song for Bobby Long", "Lost in translation" o in "Scoop" di Woody Allen. Ah, le piacciono i Cure.
Ma questo non vuol dire nulla. Io non so chi sia quella lì a parte quel che mi arriva sullo schermo o nelle riviste.

I social ci hanno avvicinato a questi tizi famosi e ci hanno aperto squarci nel loro privato - squarci che magari tutto sommato preferivamo non vedere: davvero voglio le foto del mio cantante preferito che si lava i denti? Ma di fatto continuiamo a non sapere nulla della loro vita. E questo non vale solo per le star. Chissà cosa c'è fuori dallo schermo nella vita vera delle persone che seguiamo su Facebook. Chissà se davvero sono così simpatici e arguti, se sanno essere davvero così autoironici, o se non saranno dei perfetti stronzi, anzi, degli imperfetti stronzi (di millantatori di stronzaggine perfetta il fesbucco è pieno). Questo qui magari per scrivere i post che mi piacciono trascura le persone che ha accanto. Quello lì potrebbe essere anche migliore di come appare, uno di quegli eroi silenziosi con un malato grave da curare a casa e una vita claustrofobica, quest'altra così simpatica e carina magari è una tirchia sputtanatissima, magari questo puzza, quell'altro ancora forse dietro a tanta saggezza apparente nella vita è uno scemo integrale che non sa neanche uscire di casa senza mettere nei guai il mondo.
Cosa ne sappiamo di cosa c'è dietro a uno schermo, cosa possiamo aspettarci da amicizie basate solo su ciò che ciascuno ama raccontare di sé? E dei post che noi stessi scriviamo con grandissima passione, siamo certi che poi non vengano letti quasi sempre - per forza di cose - in background, un rigo sì e due no, fino al sesto rigo e basta, sovrappensiero, mentre la vita scorre? Le stesse prime righe di questo post, apparendo su Facebook, potrebbero dar vita, comprensibilmente, a commenti sulla sola Scarlett Johansson e non sul tema del post, perché in pochi cliccheranno per arrivare al blog, e in pochissimi leggeranno fin qui. Anche se sui social mettessimo tutto ciò che siamo, [per fortuna?] esiste un limite al grado di conoscenza e approfondimento che possiamo dedicare agli altri. Sarà questo, non la mancanza di buona volontà o di schiettezza da parte di chi scrive, non la superficialità di chi legge, a fare sempre da muro fra una vita presente qui e un'altra distante là. 
Cos'è quel cuoricino, quel "ti adoro"? Semplici attestati di stima sinceri e volatili. Le comunicazioni e i sentimenti nei social network, filtrati dalla mancanza di fisicità, di presenza, di tratti soprasegmentari, ma soprattutto annebbiati dalla fretta e dalla mancanza di tempo, da strani meccanismi di proiezione che esaltano ciò che crediamo di vedere, cancellano ciò che non ci aspettiamo esserci, alla fine trasformano i rapporti social a distanza né più né meno in una versione reciproca e orizzontale di quel rapporto che il fan ha con la star. Quell'apofenia che trasforma Scarlett Johansson persona in Scarlett Johansson illusione.
Facebook in particolare crea onde di approvazione e di disinteresse che sono pura reazione emotiva, pilotata da algoritmi insondabili. Ho quattromila contatti nel social di zuccherbergo, tutti persone mediamente interessanti sveglie e attente, ma l'algoritmo diventa sempre più spietato nel selezionare quali post mostrare. Scarlett Johansson attira commenti, un post che partendo da Scarlett Johansson prova a raccontare come ci si sente soli su Facebook anche fra quattromila ottime persone probabilmente no. Ed è esattamente questo a farmi sentire solo su Facebook. Non è il tipo di solitudine che fa star male, è più la solitudine del tizio che trova poco sensato parlare parole che non avranno risposta, scrivere frasi che non verranno lette o suonare musica che non sarà ascoltata. Non è una cosa triste, ma alla lunga un esercizio inutile e stancante. E non è detto che scrivere o pronunciare parole o note in grado di destare attenzione sia più gratificante. Il primo post di questo blog, risalente a tredici anni fa, si chiamava "Information overload", e parlava già di questa sensazione di lanciare parole in un mondo che ne è già saturo. Col tempo qualcosa è cambiato però, ho imparato ad amare e cercare questa preziosa solitudine da goccia nel mare, la privacy da sommersione, e ho imparato a giocarci, apparendo e scomparendo a fasi alterne. Non so quanto e come dominare questa mania a scomparire e riapparire, ma forse non devo dominarla. I miei umori mutevoli e il mio stupido ego timido esibizionista hanno i loro cicli e devo soltanto assecondarli. Sparire da Facebook, emergere sul blog, chiudere il blog, tornare su Facebook. Tanto, qualunque cosa io possa scrivere di me o leggere di voi, noi non ci conosceremo mai davvero.
Possiamo certamente fare un gradevole pezzo di strada assieme, se vi va. Ma la differenza fra i like per l'anteprima su facebook e l'effettivo numero di visite al blog intero saranno sempre lì a testimoniare il rapporto fra fretta di grattare e bisogno di scavare. Una volta queste cose mi suscitavano pensieri negativi. Oggi mi dico che è esattamente così che deve essere. Tanto, io non sono qui. E neanche voi.















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